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Le blog de el-theus

Brevi Note Sulla Giustizia

21 Janvier 2018, 00:24am

Publié par el-theus

Brevi note su che cos’è la Giustizia.


Il rapporto tra Verità e Diritto. A livello ontologico.

O meglio di contro al diritto positivo, l’ontologia del diritto.

Come si presenta? Come possiamo decifrarla? Dell’ontologia del diritto ha scritto Dario Composta. Altrimenti l’idea era l’ombra dei geroglifici, ossia le forme del vivente, così come le forme geometriche tracciate dall’ombra dello gnomone, della meridiana, per segnare il tempo, riflesse dall’ombra della luce dicono come sono le cose.

Ma questa è una verità di che valore?

La forma cos’è? Il contorno della cosa. Il dono. Gli Dei donano. Ci donano tutto, anche il tempo. Decidono loro quanto tempo abbiamo, e ci vedono.

La rappresentazione, la figura, come sono configurate le cose, la loro configurazione spaziale e quindi posizione. Tutto questo è determinato sempre dalla nostra possibilità di vederle e pertanto dalla luce e dal riflesso della luce su quell’oggetto. Ora il punto dei geroglifici è proprio questo, ossia che prima delle parole essi riproducono le immagini delle cose, sono dei pittogrammi, delle raffigurazioni, delle immagini, delle figure, dei disegni, delle forme delle cose. Che le lettere poi trasformeranno, o meglio geroglifici e ideogrammi si trasformeranno in lettere, che saranno come la stilizzazione di quelle cose, e che conserveranno quindi parzialmente nella loro forma di lettera l’immagine, la forma, stilizzata della cosa che volevano rappresentare. Vedi teoria della verità come corrispondenza tra rappresentazione della cosa e la cosa di St. Agostino, St. Anselmo, Aristotele. La verità come corrispondenza tra linguaggio e cose.

Ora la domanda da porsi è cosa vi è di ontologico in questo? La forma. La forma che è poi la sostanza e l’essenza della cosa. Poiché essa è lo spirito che permane, che dura, eterna, mentre la materia si dissolve, muore, non perdura. Mentre l’idea della cosa, di cui è fatto il linguaggio, appunto gli ideogrammi cinesi, o i geroglifici egiziani, rappresentano e dicono le idee delle cose. La loro essenza, il loro significato.

Che rapporto ha il diritto con il significato? Il diritto ed il rovescio appunto. Ha il significato che il senso delle cose si legge per un verso, un  senso. Le cose hanno senso perché hanno un verso, una direzione. Ed il loro senso è dato dalla loro direzione. Hanno un senso diritto che è giusto, ed un senso inverso, rovescio, che è sbagliato, che ne dice il contrario, il capovolgimento, il didietro, il contrario.

Ogni cosa è orientata, direzionata. Ha una direzione. Anche il linguaggio. Il linguaggio ha senso quando la corrispondenza tra la l’immagine e la cosa, la parola e la cosa, il senso e la cosa, corrisponde alla realtà. Il senso o l’immagine e la cosa insieme corrispondono a realtà. Ora poiché tutto è orientato, tutto è posizionato nel mondo, ogni cosa ha un senso in funzione della sua posizione. Il ruotare del sole da est verso ovest, nel moto apparente del sole intorno alla terra, è il movimento che dà senso, direzione, alle cose. Da il senso delle cose. Perché come per la meridiana che ci permette di determinare che ore sono (ora solare), così l’illuminazione solare permette alle cose non solo di essere viste, ma anche di disegnarne le figure, i contorni, attraverso le loro ombre. Questi sono poi gli ideogrammi cinesi ed i geroglifici egiziani. 

E’ sempre il sole quindi a fungere da autorità ultima per la verità delle cose e della loro rappresentazione. Il sole si potrebbe dire della caverna di Platone. Ma anche meno metaforicamente, proprio il sole in quanto sole, il sole che ci illumina le cose, e quindi le dice. Le fa vedere sia direttamente, che per le loro ombre, ossia i loro contorni, e quindi ne dà delle immagini. Immagini che vengono poi a funzionare come linguaggio, immagini che servono a rappresentare le cose e vengono usate per comunicare delle cose, sulle cose, tra esseri umani e quindi a diventare linguaggio, parole. 

Poiché le immagini sono le idee delle cose, le forme delle cose, non le cose stesse nella loro materialità singolare e specifica, esse sono spirito, sono cioè eterne, immutabili, dicono l’essenza della cosa, ossia che cosa è, perché la rappresentano nella sua forma, generalità, non nella sua materialità.

In filosofia si è spesso dibattuto sulla modalità di esistenza delle cose, la polemica detta degli ‘universali’, in particolare nel Medioevo. La domanda era esistono gli ‘universali’ o sono essi solo delle astrazioni  della mente e quindi non reali, reali sono solo le cose materiali. Esiste cioè anche la forma, lo spirito, come realtà indipendente, o esiste solo la materia?
Duns Scoto, se non ricordo male, aveva optato per una mezza via. E tra nominalisti, ossia coloro che ritenevano che i nomi delle cose, ossia le parole, le immagini di esse, i geroglifici, le idee, i pittogrammi, gli ideogrammi, le forme delle cose, non avessero esistenza reale ma fossero appunto solo flatus vocis, solo nomi delle cose, non le cose stesse.

Mentre i realisti (Roscellino?*) ritenevano che i nomi, le forme delle cose, le idee (Platone) avessero un loro grado di esistenza, ossia che non fossero solo pure astrazioni inesistenti nel reale, flatus vocis, ma avessero un loro grado di esistenza, erano cioè a loro modo anche sse reali, esistenti. In altre parole lo spirito delle cose, la loro essenza, l’essenza delle cose, non è astratta ma reale anche essa.  

Anzi per Platone essa era ancora più reale  delle cose stesse  perché  erano appunto le idee, le forme delle cose ad essere eterne, immutabili, a durare nel tempo, ed a informare le cose della loro forma, la materia della loro forma. Per cui il mondo delle idee di Platone, l’iperuranio, era un mondo più vero e reale di quello materiale, di quello delle cose, che essendo appunto materiali erano anche corruttibili, e quindi preda del tempo che tutto dissolve. Durano invece le idee, le essenze delle cose. La vera sostanza. 

Per cui nella gerarchia dell’essere, di ciò cioè che esiste, vengono prima le idee, che hanno un grado di esistenza superiore, e poi le cose, le cose materiali, informate dalle idee, la materia. La materia, di contro a ciò che si professa oggi, non è prima, e non è l’unica cosa che esiste, sebbene possa essere in un certo senso quella che si vede e si vede meglio. La materia non è per Platone l’unica cosa e nemmeno la sola vera realtà. Tutt’al contrario. La vera realtà è data dalle idee, dalle forme, dallo spirito, cioè l’immateriale, ciò che non è tangibile, e quindi in un certo senso non ha materia, e che pertanto è quindi in un certo senso invisibile. Lo si può vedere solo diciamo per via interposta, per astrazione, per l’ombra che proiettano le cose, per raffigurazione. Cioè l’essenza delle cose, data dalla loro forma, non è tanto da ricercare nella materia, nel DNA si potrebbe dire in terminologia moderna. No, l’essenza della cosa non sta tanto nel suo codice genetico, nella sua composizione materica, la sua scomposizione in atomi in chimica o geni in genetica. L’essenza ossia la verità, il che cos’è della cosa, il senso della cosa, il suo significato sta nella sua forma, ossia nello spirito di essa. Che cos’è lo spirito della cosa? La sua forma, il suo senso, il suo significato. 

Questo significato della cosa è dato da come essa si presenta e quindi la sua figura, immagine, rappresentazione, e quindi riconoscibilità, la sua identità, ed è data dalla sua funzionalità.

La sua identità a se stessa ed alla sua specie, e la sua funzionalità. Cioè bisogna essere capaci sia di riconoscerla e distinguerla da altre, sia di comprenderne la funzionalità, come funziona, cosa fa, a cosa serve, che uso ha.

Ad esempio un muro. Un muro può avere tanti colori, tante dimensioni, ma generalmente è definito come  una barriera, un rialzo che si eleva da terra e separa due spazi, può sostenere pareti, travi. Fa cioè da portante  e da divisore. Come è fatto un muro? Può essere fatto di tanti materiali, ma generalmente, di solito, è fatto di mattoni, ma anche di pietre, di calcestruzzo, di legni, di pietre, o qualunque altro materiale, non ha importanza. Poiché il materiale non definisce il muro, ma ne può tutt’al più irrobustire la funzione. 

C’è quindi l’apparenza, ossia la forma, come si presentala cosa, e poi la sua funzione. Il linguaggio deve cercare di catturare queste due funzioni, questi due aspetti, per riprodurre il senso delle cose. 

Lo stesso viene fatto con i geni in genetica ad esempio. Si cerca di ritagliarli per poi identificare la funzione. Per riconoscerli, identificarli, bisogna ritagliarli, identificarli, e dargli una funzione. Il codice genetico, il genoma, viene quindi  suddiviso in segmenti i quali hanno funzioni specifiche e diverse a seconda di quali geni sono e dove sono posizionati. 

Se c’è un’ontologia del diritto è data quindi  da questi due elementi. Aspetto e posizione. Vedi qui soprattutto i lavori di Dario Composta ‘L’Ontologia del Diritto’. L’immutabilità dell’Ordine giusto naturale, del Diritto Naturale, immodificabile, immutabile, non cambiabile. 

Per gli antichi i greci ed i romani difatti non vi era la dissoluzione della gerarchia nell’appiattimento neutralizzante, indifferenziato e sovversivo, per non dire demonico e satanico, dell’eguaglianza dove tutto è uguale a tutto e al posto dell’ordine regna l’anarchia o disordine. Il piattume appunto di Flatlandia. 

Il mondo moderno rigetta la gerarchia per l’uniformità dell’uguaglianza. Tutti sono uguali a tutto. Non ci sono distinzioni  o differenze. Le cose collassano le une nelle altre. Nell’indistinzione indifferenziata di un tutto magmatico. Mentre per gli antichi la verità stava nella gerarchia. Ossia per capire le cose ed il funzionamento del mondo  si tratta e si trattava di capire chi sta sopra e chi sta sotto, chi sta sopra a cosa e chi sta dove. Ossia sapere la sua posizione. La sua posizione relativa. Difatti poiché il diritto è come lo definisce A. Koyré essenzialmente una triangolazione tra tre elementi in relazione, nella sua formula elementare di base è una triangolazione tra tre elementi, dove i soggetti A e B sono in rapporto a C, la cosa disputata. 
Ora rispetto alla cosa disputata i due soggetti sono o possono essere in diverse situazioni, forme, schemi, configurazioni, di superiorità, inferiorità, eguaglianza. Sono rapporti cioè matematici, a carattere matematico, quantitativo rispetto a… C. E così di seguito.

La giustizia come precisato dagli antichi a cominciare ds Aristotele, non sta solo nel punto mediano, a metà tra gli altri due punti, nell’equidistanza tra i due punti, sebbene di norma sta nel punto di equilibrio. Essa può stare in altri punti ancora come ci mostra ed esemplifica lo strumento della bilancia. La bilancia per stare in equilibrio deve avere misure eguali ad entrambi i lati della bilancia, pesi uguali. Ma se i pesi non sono uguali per renderli uguali bisognerà aggiungerne o toglierne da una parte o dall’altra. Per cui  per un peso grosso e pesante  ad un braccio ce ne vorranno di più per dei pesi più piccoli. Un numero di pesi piccoli equivalente al peso grande dell’altro braccio. Ora cosa sono i pesi con i quali si misurano le azioni? I pesi con i quali si misurano le cose dipendono dalle cose. Dipende da cosa si vuole misurare. Ci sono misure diverse per cose diverse, il sale per il sale, la farina per la farina, etc. Per cui si adottano delle convenzioni per cui 1 kg di un determinato metallo, fero, piombo, per i pesi, dirà quanta farina ci vorrà per occupare l’altro braccio della bilancia. Cos’ anche per l’acqua, e via dicendo. 
Per le azioni umane cosa si usa? La misura delle azioni umane sarà determinata rispetto a qualcuno ed a qualche cosa. Ci vorranno più azioni di un determinato tipo per riequilibrare un torto fatto, piuttosto che azioni di un altro tipo. Le azioni da compiere possono essere risarcitorie, o compensatorie, o a carattere penale sanzionatorie, per cui se si è commesso un torto e non basterà risarcire il danno in maniera pecuniaria, e nemmeno compensatoria ripagando  con un equivalente sostitutivo, in alcuni casi sarà necessario ripagarlo con pene sanzionatorie implicanti se stessi, la persona artefice del danno compiuto, nel senso della privazione della libertà, limitazioni della possibilità di agire, perché non ci sono altre azioni possibili da compiere e mettere in atto per riparare al danno compiuto, se non quello di limitare il colpevole, l’autore del danno, a ad essere privato di ciò che ha tolto. Solo la privazione e la limitazione potranno cioè rimettere in pari i bracci della bilancia.

Oggi la giustizia non sembra che svolga più il suo compito, la sua funzione di riparare i danni, regolare i rapporti. Sembra che per gran parte abbia smesso  di funzionare per diventare complice della distorsione, del disordine del disequilibrio sociale. Invece di mantenere l’ordine e svolgere la sua funzione di garante  dell’ordine per il bene sociale comune, essa è oramai cooptata per interessi particolari, prevalentemente di coloro che non vogliono più riparare al male fatto con la sanzione, ma lo vogliono assolvere, non vogliono cioè più  cercare l’ordine, bensì operano per incrementare il disordine.

Ora la funzione della giustizia umana non è quella di fare né i capricci dei potenti, né le cose a casaccio, ma quella di mantenere l’ordine per il dovere di ordine che essa deve garantire, il quale esiste e sussiste a prescindere dalla volontà umana e può rompersi e spezzarsi ad ogni momento. E se ciò dovesse malauguratamente avvenire come pare stia proprio succedendo nei nostri tempi, questo è dovuto appunto perché la giustizia si è scardinata  dalla sua funzione  di garante dell’ordine e si è positivisticamente consegnata a fare l’ancella e l’inserviente del male ed a coadiuvare il disordine.

Un ripensamento su cosa sia la giustizia si presenta quindi come necessario, non per volontà ma per necessità. E’ necessario ritrovare e dare alla giustizia il suo valore, affinché essa possa riprendere a svolgere la sua funzione, il suo compito che è quello di salvaguardare l’Ordine. Ora per farlo si deve comprendere che la giustizia è un fatto di carattere naturale, cioè che prescinde dalla volontà umana, o dai capricci dei potenti, o dalle elezioni. La giustizia avviene ed accade come nemesi, che ci piaccia o meno. Essa è cioè da intendersi  piuttosto come giustizia della necessità. Poiché a determinate azioni corrisponderanno deterministicamente determinate conseguenze. La Giustizia si rivela essere quindi più una questione di necessità che di volontà. Non è un volontarismo. La giustizia è una questione ed un fenomeno di carattere necessario, e in questo senso superiore e trascendente alla volontà umana. 

Il cambiamento climatico ad esempio ne è la manifestazione. E’ manifestazione di questa Giustizia necessaria di causa effetto che trascende la volontà umana, ed accade a prescindere. Poiché a seguito di determinate scelte politiche sono subentrate determinate conseguenze, politiche, geopolitiche e fisiche, cioè climatiche. La scelta di politiche industriali di un certo tipo, dell’uso e consumo di idrocarburi, ha rotto equilibri naturali, fisici, ed in quanto tali essi hanno conseguenze fisiche di ordine causa effetto. 

Quando si dice clima si dice equilibrio di tutte le cose  in natura. Il clima non è solo il tempo che fa. In questo la giustizia è innanzitutto e soprattutto questione di equilibrio. E’ tutto questione di equilibrio.

Rotti gli equilibri, rotto l’Equilibrio  è la fine del mondo. Per questo la Giustizia non è un gioco, né arbitrio, né capriccio, né volontà, né convenzione, ma innanzitutto natura e Necessità. Diritto naturale.

Pensieri preliminari. 

 

* Roscellino nominalista

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